LA
CHIESA E LA SUA
STORIA
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Presentare la
Basilica di San
Paolo Maggiore
qui, nel sito
della
Parrocchia, non
è come parlarne
in una
conferenza sulla
storia di
Bologna: è
qualcosa di più
e di meno.
Di meno, perché
non intendiamo
rivolgerci a
specialisti
o anche solo a
curiosi di
cose d’arte e di
architettura;
di più,
perché pensiamo
che, chi ci
legge, sia prima
di tutto un
parrocchiano, di fatto o di elezione.
Veduta della
chiesa di San
Paolo in
un'incisione di
Pio Panfili
(1781)
I
CENT’ANNI
PRIMA
E allora
cominciamo
dicendo che la
chiesa di San
Paolo Maggiore
non sarebbe mai
sorta se non
fosse nato e
vissuto fra il
1502 e il 1539
un giovane di
Cremona, prima
medico e poi
prete:
Antonio Maria
Zaccaria
[1].
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Pala di Sant'Antonio Maria Zaccaria |
|
È un Santo in
verità non molto
conosciuto fuori
dalla cerchia
dei Chierici
Regolari di San
Paolo, detti
Barnabiti, delle
Suore Angeliche
di San Paolo e
dei Laici di San
Paolo, di cui
egli è il
Fondatore,
assieme ai
confratelli
Giacomo Antonio
Morigia e
Bartolomeo
Ferrari.
Li potete vedere
rappresentati
tutti e tre
riuniti in un
dipinto recente,
di valore
devozionale più
che artistico,
collocato sulla
parete di destra
della prima
cappella di
destra.
Furono un
terzetto
formidabile,
animato da uno
zelo focoso per
la riforma dei
costumi
religiosi e
sociali, capaci
di proporre ed
attuare modelli
di vita
cristiana
comunitaria
troppo
innovativi per
quei tempi,
anticipatori
addirittura di
tanti contenuti
per i quali la
Chiesa avrebbe
dovuto attendere
il Concilio
Ecumenico
Vaticano II,
quando ancora,
dopo la
pubblicazione
delle tesi di
Lutero del 1517,
era di là
da venire il
concilio di
Trento.
Per approfondire
la conoscenza di
questo nostro
grande giovane
santo,
rimandiamo ai
siti internet
www.barnabiti.net
, ricco di
documentazione e
di suggerimenti
bibliografici e
https//barnabitiroma.it
, dove trovi
tutti gli
scritti di
Antonio Maria,
pochissimi ma
straordinari.
Ma qui non
andiamo oltre,
confidando di
avere almeno
incuriosito il
lettore e
limitandoci ad
osservare quanto
la nostra città
di Bologna
rappresenti da
sempre per i
Barnabiti, se
pensiamo che, a
nemmeno 100 anni
dalla morte del
Santo Fondatore,
fin dal 1600
essi tennero
nella nostra
città la
Parrocchia di
San Michele
Arcangelo, in
via degli
Agresti e,
all’inizio del
1606,
acquistarono il
terreno su cui
sarebbe sorta da
lì a poco la
grande chiesa,
intitolata a
quel San Paolo,
cui si era
ispirata
specialmente la
formazione
e la
spiritualità del
Fondatore.
Chiesa che, a
quel tempo, non
era certamente
intitolabile ad
Antonio Maria
Zaccaria, il
quale, per
quanto venerato
come santo fin
da subito dopo
la morte, fu
canonizzato
solamente nel
1897.
Si sottolineava
più sopra
come
Bologna sia da
sempre nel cuore
dei Barnabiti,
anche perché
fu
proprio nella
nostra città che
il 18 febbraio
1533 il
Pontefice
Clemente VII,
provvidenzialmente
a Bologna per
incontrare
l’Imperatore
dell’Occidente
Carlo V, approvò
la Congregazione
dei Chierici
Regolari di San
Paolo, cioè dei
Barnabiti.
^^^ torna in
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IL TEMPO DELLA
COSTRUZIONE
Veniamo all’anno
1606, quando per
la progettazione
e la
realizzazione di
una nuova chiesa
da intitolare
all’apostolo
Paolo, si trova
a Bologna Padre
Giovanni
Ambrogio Mazenta,
nato a Milano
nel 1565,
Barnabita a 26
anni, già
laureato in
diritto a Pavia,
specialmente
versato nelle
lettere e nelle
scienza,
studioso e
conservatore fra
le altre cose di
numerosi
manoscritti di
Leonardo,
direttore
spirituale del
nostro Guido
Reni,
diplomatico
abile e
sperimentato, ma
particolarmente
affascinato
dall’ingegneria
idraulica e
dall’architettura.
|
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Pianta della basilica |
|
A quei tempi
molti fra i
barnabiti
erano…fatti
così.
Come ingegnere
idraulico lavorò
al molo di
Livorno, al
canale
Livorno-Pisa, a
Ferrara, alla
canalizzazione
del Reno a
Bologna .
Come architetto
lavorò alla
Piazza d’Armi di
Livorno, a Roma
per il Pantheon
e per San
Giovanni in
Laterano, a
Milano per la
cupola del
tempio di
Sant’Alessandro,
e poi ancora a
Foligno, a Lodi
e infine a
Bologna dove
progettò e
realizzò la
Metropolitana di
San Pietro
(1605),
SS:Salvatore per
i Canonici
Lateranensi(1605-1623)
e quindi San
Paolo Maggiore
(1606-1611).
Il Mazenta
morirà a Roma a
70 anni, nel
1635 e dobbiamo
notare che il
suo nome si
trova raramente
nei documenti
originali perché
egli, da vero
religioso qual
era, desiderò
sempre restare
nascosto e quasi
sconosciuto
quale artista.
Tornando al
1606, diciamo
che il luogo
scelto da Padre
Ambrogio per la
costruzione del
nuovo Tempio fu
quello detto
della
croce dei santi,
nel quartiere di
Porta Procula,
fra la chiesa
trecentesca di
San Clemente del
Collegio di
Spagna, la
Chiesa
quattrocentesca
della Spirito
Santo,, la
Chiesa di San
Martino e la
Croce dei Santi,
appunto, a quel
tempo custodita
in una
cappelletta,
all’incrocio
delle vie
Carbonesi,
Barberia e Val
d’Aposa, vicino
a quel Palazzo
Bevilacqua che
era stato sede
nel 1547 di due
sessioni del
Concilio di
Trento.
Individuata
l’area,
intervenne il
nobile Marcello
Garzoni – lo
sponsor, diremmo oggi – che acquistò il terreno per i Barnabiti e,
venuto a mancare
pochi anni dopo,
si meritò la
sepoltura
proprio
sotto il
pulpito, come
ancor oggi si
legge in una
iscrizione
lapidea.
Il 27 dicembre
di quello stesso
anno 1606 il
Legato
Pontificio
Cardinale
Benedetto
Giustiniani,
celebrata la
Messa nella
chiesa
parrocchiale di
San Michele dei
Barnabiti, si
recò in
processione con
i più illustri
personaggi di
Bologna sul
luogo della
erigenda nuova
chiesa per
compiere il rito
solenne della
posa e
benedizione
della prima
pietra.
Nel frattempo
infatti il
Mazenta aveva
preparato il
progetto della
chiesa e i
lavori erano
stati affidati
ai Fratelli
Albertazzi,
capomastri
bolognesi, i
quali, sotto la
direzione dello
stesso Padre
Ambrogio,
condussero a
termine l’opera
in pochi anni.
Alle spese
concorsero in
parte alcune
nobili famiglie
che, come
compenso, ebbero
il diritto di
Giuspatronato di
una Cappella, ma
ciò non ostante
il Mazenta,
nell’agosto del
1611,
dovette
ricorrere ad un
mutuo bancario,
per mancanza di
fondi.
Tuttavia, in
soli 5 anni la
costruzione era
presso che
terminata nelle
sue linee
generali e, pur
mancando
l’Abside e
l’Altare come li
vediamo oggi, il
primo novembre
1611 il padre
benedettino di
San Procolo
Protasio
Stiatici poteva
compiere la
solenne
benedizione
della nuova
chiesa.
La prima Messa
fu celebrata il
4 novembre dal
cardinale Legato
Maffeo Barberini,
futuro Papa
Urbano VIII e
dopo di lui,
finalmente, poté
celebrare anche
Padre Mazenta.
Nel mese di
febbraio del
1612 si
celebrarono in
San Paolo le
prime
solennissime
Quarantore,
come era nella
tradizione dei
Barnabiti, in
quanto culto
istituito e
promosso
proprio
dal loro
fondatore,
Antonio Maria
Zaccaria.
La
chiesa,
in quel 1612,
era ancora priva
della Cappella
Maggiore e della
Facciata e
bisognerà
aspettare
l’intervento di
un nuovo
sponsor per
la ripresa
definitiva dei
lavori, dovuta
prima alla
munificenza del
Cardinale Legato
Bernardino Spada
che nel 1630
assicurava il
proprio aiuto
per l’Altare
Maggiore e
quindi del
fratello
Virgilio e dei
successori che
consentirono di
completare
l’opera, fino
all’inaugurazione
della facciata,
realizzata su
disegno di
Ercole Fichi, il
primo novembre
del 1636
esattamente 25
anni dopo
l’apertura al
culto della
chiesa.
Come
corrispettivo
del contributo
versato, alla
famiglia Spada
veniva concesso
il diritto di
avere la
sepoltura in San
Paolo e di
esporre gli
stemmi gentilizi
per tre
generazioni,
mentre anche ai
visitatori di
oggi la lapide
marmorea posta
al di sopra
della porta
principale
ricorda le
benemerenze di
quella famiglia.
La Cappella
Maggiore, detta
poi Cappella
Spada, veniva
ultimata nel
1647, ma
ufficialmente
fu inaugurata
nell’anno
giubilare 1650.
Ciò che non vide
mai la luce fu
invece il
campanile,
anch’esso ideato
dal Mazenta, che
avrebbe dovuto
svettare fino a
76 metri di
altezza e di cui
rimane solamente
il progetto:
furono le
Monache Clarisse
del vicino
Monastero della
Santa ad opporsi
alla sua
costruzione,
temendo che
dall’alto
potesse essere
infranta la loro
clausura!
Quanto alla
Sagrestia, fu
dapprima usato
il locale che
oggi ne
costituisce
l’atrio, fino al
1719, anno in
cui, su disegno
di Paolo
Francesco
Saltéri,
furono
eretti i
grandiosi locali
che oggi
conosciamo.
^^^ torna in
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I PRIMI DUE
SECOLI
Aperta
solennemente al
culto il primo
novembre del
1611, la nuova
chiesa fin
dall’inizio vide
promosso il
culto divino con
lo splendore
della Liturgia e
con la devozione
all’Eucaristia
attraverso la
Comunione
frequente e la
celebrazione
delle
Quarantore,
secondo la
tradizione
propria dei
Barnabiti.
Intorno al 1630
la Comunità dei
Barnabiti di San
Paolo a Bologna
contava 20
sacerdoti.
L’istituzione di
uno
Studio Generale
di Filosofia e
Teologia
rivolto ai
Chierici della
congregazione
comportò la
necessità di
ampliare gli
spazi annessi
alla chiesa e
così nel 1654
veniva costruito
il solenne
ingresso del
Collegio con
ampio androne e
scalone di
accesso, a
ridosso della
facciata a
destra.
Nel 1664 si
poteva
inaugurare lo
Studentato San
Paolo il
quale, ai primo
del ‘700, fu
accresciuto di
ulteriori
locali, il
Cenacolo e
la
Libreria, col che San Paolo si confermò ulteriormente quale centro
di alta
spiritualità e
cultura per
tutta la città,
potendo ospitare
negli anni nomi
prestigiosi di
Lettori,
cioè di maestri
provenienti da
ogni parte
d’Italia e non
solo e da questa
scuola uscirono
numerose
generazioni di
Barnabiti che
fecero onore
alla
Congregazione
stessa e alla
Chiesa tutta,
molti dei quali
possiamo
ritrovare nella
storia della
filosofia, della
teologia, della
missionari età
cattolica.
Proviamo ad
immaginare come
le conclusioni
dei lavori degli
Studenti
Barnabiti, tesi
filosofiche o
teologiche,
fossero
normalmente
discusse
pubblicamente in
chiesa, con
grande solennità
e concorso di
spettatori,
magari in
concomitanza con
le più solenni
Accademie,
ricche di
sceltissimi e
frequentatissimi
programmi
musicali.
Fra i Padri del
Collegio San
Paolo
numerosissimi
ebbero cattedre
di insegnamento
all’Università e
basti
sottolineare che
il Senato
Accademico dal
1747 aveva
concesso
in perpetuo
che fossero due
Barnabiti a
tenere
rispettivamente
la cattedra di
filosofia e di
teologia
scolastica.
Fu poi Benedetto
XIV, il
Cardinale
Prospero
Lambertini, che,
avendo affidato
ai Barnabiti le
Scuole del
Seminario
Diocesano, ne
indirizzò per
così dire la
vocazione verso
l’insegnamento
ai giovani.
Veniamo così a
grandi passi
fino all’11
marzo 1797: il
Governo
Repubblicano
che, a seguito
dell’occupazione
francese,
regge la
città di
Bologna,
obbliga i
Barnabiti a
lasciare il
Collegio e la
Chiesa di San
Paolo mentre già
nel giugno del
1796 si erano
dovuti
consegnare tutti
gli oggetti
preziosi e i
calici d’oro e
d’argento perché
venissero fusi,
insieme a quelli
confiscati in
tutte le altre
chiese, per la
contribuzione in
contanti
stipulata con i
Francesi.
Bisognerà
aspettare il
1814 quando Papa
Pio VII
autorizzò il
ripristino di
tutti gli Ordini
religiosi,
precedentemente
soppressi nel
1810, e quindi
il primo
novembre 1816
per assistere
alla
ricostituzione
delle Comunità
dei Barnabiti di
Bologna, ma …non
per la Comunità
di San Paolo che
dovrà attendere
il 17 ottobre
del 1959 per
rientrare
nuovamente in
possesso della
Chiesa e della
Parrocchia.
Questa parte
della storia di
San Paolo
Maggiore, tanto
interessante
quanto
complessa, non
può qui essere
convenientemente
sintetizzata, ma
la troviamo
tutta quanta
riccamente
descritta e
documentata
nella
guida curata
dai Padri Cesare
Riva, il primo
parroco
barnabita del
nuovo secolo e
da Padre Franco
Ghilardotti che
gli succedette,
pubblicata nel
1979.
Qui conviene
ricordare gli
interventi di
restauro del
1819 per mano
specialmente
dell’architetto
Angelo Venturoli;
il rifacimento
nel 1829 della
gradinata
d’ingresso in
pietra arenaria
macigno; la
realizzazione
nel 1889 della
Cappella di
Nostra Signora
di Lourdes, dove
collocare la
statua
proveniente da
Parigi, dono del
Conte Giovanni
Acquaderni,
fondatore della
Azione Cattolica
italiana; il
rivestimento in
marmo delle
paraste del
coro, del
presbiterio e
del transetto,
nonché il
rivestimento in
scagliola delle
pareti laterali
dell’Altare
Maggiore e il
rifacimento
della
pavimentazione
del coro, in
occasione della
Decennale
eucaristica del
1909, anno in
cui la Chiesa
era dichiarata
Monumento
Nazionale.
Quindi, essendo
Parroco
Monsignor
Anselmo Schiassi,
l’ultimo
sacerdote
diocesano prima
del ritorno dei
Barnabiti,
ricordiamo la
realizzazione
del Battistero
(1919), la nuova
pavimentazione
della chiesa e
la cella
campanaria con
le quattro
campane fuse
dalla Ditta
Brighenti
(1929), il
restauro della
facciata,
riportando in
luce le
superfici in
muratura
laterizia
sagramata
(1939).
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LA VISITA OGGI
- L’ESTERNO
La Chiesa si
affaccia proprio
dove un tempo
era collocata la
Croce dei Santi - una
delle quattro
che alla fine
del IV secolo
furono poste da
Sant’Ambrogio e
da San Petronio
ai quattro
angoli delle
mura, a
protezione della
città, oggi
custodite nella
Basilica di San
Petronio –
all’incrocio di
cinque strade:
via
Tagliapietre,
via Carbonesi,
via Val d’Aposa,
via Barberia e
via Collegio di
Spagna.
La facciata,
inaugurata il
primo novembre
1636, 25 anni
dopo l’apertura
al culto della
chiesa,
realizzata su
disegno di
Ercole Fichi per
la munificenza
della famiglia
Spada, si
presenta in
muratura di
mattoni laterizi
a faccia vista,
con elementi in
pietra arenaria
a formare
basamenti,
capitelli,
timpani e fregi
decorativi.
Sulla facciata,
animata da
lesene e
semicolonne,
spicca
l’imponente
trabeazione -
decorata con i
simboli della
famiglia Spada
che ritroveremo
un po’ ovunque
all’interno -
la quale
sottolinea e
divide la parte
inferiore del
prospetto, larga
quanto tutta la
navata e le
cappelle e
riferibile
all’ordine
dorico, da
quella
superiore, larga
quanto la sola
volta e
riferibile
all’ordine
corinzio, parti
tra loro
raccordate dalle
elegantissime
orecchie,
anch’esse
impreziosite
dalla pietra
serena.
Il fregio
orizzontale
continua poi
lungo tutta via
Tagliapietre,
qui a formare il
vero e proprio
cornicione di
copertura della
fiancata
sinistra,
anch’essa
intervallata da
lesene che
assecondano la
partizione delle
cappelle
interne.
Sul fronte,
lesene e
semicolonne
ordinano ed
inquadrano il
maestoso
portale,
il
finestrone
centrale, le
quattro nicchie
adorne di
statue: in alto
a sinistra San
Filippo Neri e a
destra San Carlo
Borromeo,
protettori dei
Barnabiti,
realizzate in
cotto dallo
stesso Ercole
Fichi, seguace
del Mazenta e
progettista
della facciata;
nelle nicchie in
basso le statue
in marmo di San
Pietro a
sinistra
e di San
Paolo a destra,
eseguite
contestualmente
alla facciata da
Domenico
Mirandola e da
Giulio Cesare
Conventi.
^^^ torna in
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- L’INTERNO
Ma dobbiamo
entrare e, se
siamo in una
giornata di sole
o anche se
l’illuminazione
artificiale è
tutta accesa,
allora è
impossibile non
essere
suggestionati,
forse commossi
dall’atmosfera
soffusa colorata
leggera quasi
astratta che ci avvolge, ma che ci conduce tuttavia senza indugio
verso il trionfo
affatto
concreto e
possente
dell’altare
maggiore.
È troppo bella
la descrizione
sintetica
dell’interno
della chiesa che
troviamo nella
guida del 1979
dei Padri Riva e
Ghilardotti, per
non riportarla
integralmente:
“l’ultima
sublime
espressione
architettonica
del Mazenta
contiene
nobilmente
l’invasione del
barocco, ma non
riesce a
sottrarsi alla
seduzione del
suo attraente
fasto”
Proprio così: un
insperato
difficile
equilibrio fra
linee e
proporzioni
classiche e
decorazione, a
tratti
decorativismo
barocco.
La chiesa è ad
una sola navata
con transetto a
croce latina e
coro dietro
all’altare
maggiore, con
alta copertura a
botte che sopra
il coro forma un
ampio catino e,
al centro del
transetto, una
grande cupola
illuminata da
quattro finestre
e da un
lanternino in
sommità.
Ai lati della
navata tre
cappelle per
parte e due nei
bracci del
transetto.
Visiteremo San
Paolo Maggiore
nella maniera
classica,
percorrendola
passo passo in
senso antiorario
e
volgendo
lo sguardo anche
all’alto, senza
tuttavia
dimenticare che
ci troviamo
immersi in una
vera e propria
scuola di
Catechismo al
tempo della
controriforma,
dove si
illustrano i
misteri della
fede, la vita
del Salvatore, i
Santi protettori
e specialmente
San Paolo che
qui è il
titolare.
|
|
|
|
La volta centrale della basilica |
|
Ma, prima di
iniziare il
nostro cammino
lungo la navata,
volgiamoci
indietro, verso
la
controfacciata,
per ammirare due
tele collocate
ai lati della
porta: a
sinistra la
Resurrezione di
Lazzaro, di
Annibale
Castelli
(Bologna, 1570
circa - 1620
circa) e a
destra
La crocifissione
di Sant’Andrea
di Pietro Facini
(Bologna, 1562 –
1602), allievo
dei Carracci e
che del Castelli
fu maestro.
Al ciclo degli
affreschi
torneremo più
avanti: qui
notiamo come un
recentissimo
intervento di
pulitura di
parte della
controfacciata,
come pure
ulteriori
piccoli saggi
condotti in
altri punti
della chiesa,
abbiano rivelato
un
colore originale
di fondo
dell’intera
basilica molto
più chiaro,
luminoso, direi
fantasioso di
quello piuttosto
scuro, cupo, un
po’ monotono
dovuto ad
interventi di
cosiddetto
restauro,
piuttosto di
modifica,
risalenti al XIX
secolo, quando
nella prima metà
furono anche
rifatti
tutti gli altari
e le ancone
delle cappelle
laterali e del
transetto, ad
opera del
maestro
scagliolista
bolognese Luigi
Fiorentini (1778
– 1834). su
disegno
dell’architetto
Angelo Venturoli
(Medicina, 1749
– Bologna,
1821).
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- - LA
CAPPELLETTA
ECUMENICA
È il più recente
fra gli
interventi che
hanno
interessato la
chiesa il quale,
nel 1995 ha dato
nuova vita ad un
piccolo locale
privo di
destinazione
liturgica, da
tempo utilizzato
come deposito.
È il segno della
Chiesa indivisa,
qui
rappresentata
dal grande
polittico in
stile
bizantino-slavo
opera
dell’iconografo
Fabio Nones
(Sover di
Trento, 1961):
insieme agli
Apostoli Pietro
e Paolo,
fondamento della
Chiesa, vegliano
sulla
evangelizzazione
dell’Europa i
Santi Benedetto,
Cirillo e
Metodio e con
loro i Santi
della Chiesa
Indivisa e
quelli
dell’Ecumenismo
moderno, con la
Vergine
Provida Mater
Unitatis,
Gesù Bambino e
gli angeli
Michele e
Gabriele.
|
|
|
|
Icona ecumenica |
|
È qui sepolto
Padre Gregorio
Agostino
Schouvaloff
(1804-1859),
Barnabita di San
Pietroburgo, che
nel 1957 istituì
a Parigi l’Associazione di Preghiere per
L’Unità della
Chiesa,
provenendo lui
stesso dalla
Chiesa ortodossa
russa, come si
può leggere
nella
interessantissima
autobiografia
La mia conversione la mia vocazione, Grafiche dehoniane, 2004.
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- - LA CAPPELLA
DEL CROCIFISSO,
Patronato della
Famiglia
Rizzardi
È la prima di
destra, dominata
dal grande
Crocifisso in
terracotta
policroma,
opera dello
scultore
bolognese, nato
a Borgo
Panigale,
Giovanni
Tedeschi, detto
il Tedeschino
(1595 – 1645),
presente anche
sulla facciata
della chiesa del
Santissimo
Salvatore –
opera come
sappiamo
progettata dallo
stesso Padre
Mazenta di San
Paolo Maggiore -
con le statue
degli
evangelisti San
Giovanni e San
Luca.
La colorazione
del crocifisso è
attribuita a
Francesco Albani
(Bologna, 1578 –
Bologna, 1660),
uno dei maggiori
pittori barocchi
di scuola
emiliana.
|
|
|
|
Il Crocifisso di terracotta |
|
I quadri
laterali, ancora
nel tema della
Passione di
Nostro Signore,
sono opera di
Giovanni Andrea
Donducci, detto
il Mastelletta
(Bologna, 1575 –
Bologna, 1655)
anch’egli
appartenente
alla scuola
barocca
bolognese e
formato
all’accademia
dei Carracci e
rappresentano
L’agonia di Gesù
nel Getsemani
e
La salita al
Calvario.
Sulla volta,
entro una
cornice
esagonale
Gli angeli
adoranti la
Croce, entro
cornici
ottagonali
La flagellazione e La
coronazione di
spine, sono
opere di
Francesco
Carboni
(Bologna, 1584 –
Bologna, 1635),
allievo e genero
di Alessandro
Tiarini e
seguace di Guido
Reni.
^^^ torna in
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- - LA CAPPELLA
DEL PARADISO,
Patronato della
Famiglia Belvisi,
quindi eredi
Guidi
È la seconda di
destra, dominata
da un celebre e
insieme
misterioso
dipinto di
Ludovico
Carracci
(Bologna, 1555 –
Bologna, 1619)
intitolato
Concezione
immacolata della
Vergine nel
cielo, da
sempre
ri-conosciuto
come
Il Paradiso,
poiché
l’invisibile e
quindi non
rappresentabile
mistero lascia
qui il posto ad
un vero e
proprio tripudio
festoso fra
Profeti ed
Angeli che
danzano, suonano
e senz’altro
anche cantano.
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Il Paradiso |
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Le opere per
così dire a
corredo sono di
Giambattista
Bertusio
(Bologna, 1577 –
Bologna, 1644),
allievo di
Calvaert e dei
Carracci, e
rappresentano
La nascita di
Maria Santissima
e
La presentazione
della Vergine al
Tempio, ai
lati, mentre
l’affresco della
volta raffigura
Maria Santissima incoronata dall’eterno Padre e dal Figlio.
Gli angeli ai
lati sono
affreschi di
epoca più tarda,
opera del
pittore e
scenografo
neoclassico
Pietro Fancelli
(Bologna, 1764 –
Pesaro, 1850).
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- - LA CAPPELLA
DELLA NATIVITA’,
Patronato della
Famiglia
Arrigoni
È la terza di
destra, con al
centro la pala
con
La presentazione di Gesù bambino al Tempio, opera di Aurelio Lomio,
detto il Pisano
(Pisa, 1556 –
Pisa1624)
pittore tardo
rinascimentale e
barocco,
fratello di
Orazio
Gentileschi, che
troviamo a Roma,
Pisa, Lucca,
Genova, Pergola,
La Spezia,
Viterbo,
Firenze, ma qui
a Bologna
presente
unicamente in
San Paolo
Maggiore con
questa tela
grandiosa.
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Presentazione di Gesù Bambino
al tempio |
|
Ma la meraviglia
di questa
cappella offre
ancora due
capolavori
assoluti,
entrambi di
Giacomo Cavedoni
(Sassuolo, 1577
– Bologna,
1660), allievo
di Annibale
Carracci,
principale aiuto
di Ludovico dopo
la partenza per
Roma di
Annibale, infine
caposindaco
– direttore
diremmo oggi -
dell’Accademia degli incamminati, la famosa scuola dei Carracci,
dopo la
morte di
Ludovico.
Le opere sono, a
sinistra
L’adorazione dei
pastori e, a
destra,
L’adorazione dei
magi: siamo
tra gli anni
1612 e 1614 e
ammirandole si
comprende
come,
specialmente
nella prima
Giacomo, da poco
ritornato da
Roma, dove si è
recato come
aiuto di Guido
Reni, sia
rimasto
impressionato
dall’opera del
Caravaggio, e
come di lì a due
anni, per la
seconda tela,
non sia stato
vano il
soggiorno a
Venezia dove ha
potuto
approfondire la
conoscenza delle
opere di Paolo
Veronese e di
Tiziano.
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L'adorazione dei pastori |
|
L'adorazione dei Magi |
|
Sulla volta
ancora Giacomo
Cavedoni ci ha
lasciato
La circoncisione di Gesù, La
fuga in Egitto,
Gesù fra i
dottori nel
tempio,
opere tutte
eseguite sotto
la direzione
dello stesso
Guido Reni.
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- - LE CAPPELLE
DEL TRANSETTO
Qui le Ancone
neoclassiche
risalgono al
1819 e sono
dovute al
disegno di
Antonio Serra
(Bologna, 1783 –
1847),
architetto e
professore
presso
l’Accademia di
Belle Arti di
Bologna e
all’esecuzione
dello
scagliolista
Agostino
Canturio (Mendrisio,
1790 – Bologna,
1855) attivo
specialmente nel
cimitero della
Certosa.
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- - CAPPELLA DEL
SUFFRAGIO,
Patronato della
Compagnia del
riscatto
È la cappella
del transetto di
destra, dominata
dalla grande
pala che
rappresenta
Le anime del
Purgatorio,
o meglio la
liberazione
delle anime del
Purgatorio
dall’Eterno
Padre e dal
Figlio, per
intercessione
della Vergine e
di San Gregorio
Magno,
quest’ultimo
ispirato dallo
Spirito Santo
che, in forma di
colomba, pare
sussurrargli
all’orecchio la
preghiera più
efficace.
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Le anime del Purgatorio |
|
Siamo di fronte
ad un’opera
davvero
importante di
Gianfrancesco
Barbieri, più
noto come Il
Guercino (Cento,
1591 – Bologna,
1666), qui
esposta
solennemente il
4 novembre 1647
e pagata 300
ducati d’oro,
valore attuale
del solo metallo
di circa 60.000
euro.
Ai lati
dell’altare, in
alto, sono
collocati due
quadri che fanno
parte di uno
stesso ciclo
raffigurante le
quattro
Paternità,
il cui autore è
Giuseppe Maria
Crespi detto Lo
Spagnolo
(Bologna, 1665 –
Bologna, 1747):
qui abbiamo
Dio che crea
Adamo, la
paternità
creatrice, e
Cristo che
risorge da morte,
la paternità
redentrice.
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Paternità naturale |
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Paternità legale |
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Paternità creatrice |
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Paternità redentrice |
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Gli altri due
soggetti sono
proprio di
fronte, nel
transetto di
sinistra.
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- - CAPPELLA DEI
SANTI BARNABITI,
Patronato dei
Barnabiti, ex
Patronato delle
Famiglie
Fioravanti e
Gessi
È la cappella
del transetto di
sinistra dove i
Padri, fin dal
1741, avevano
collocato
sull’altare una
grande opera di
Donato Creti
(Cremona, 1671 -
Bologna,1749),
pittore tra i
massimi del
Settecento
europeo,
raffigurante
Sant’Alessandro
Sauli, vescovo e
primo Barnabita
ad essere
beatificato
appunto nel
1741da Benedetto
XIV e infine
canonizzato nel
1904 da Pio X.
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|
Sant'Alessandro Sauli |
|
Quest’opera,
oggi esposta
nell’Antisagrestia,
fu rimossa e
sostituita nel
1830 con una
tela di Orazio
Sammachini
(Bologna, 1532 –
Bologna, 1577),
notevole pittore
manierista del
tardo
Rinascimento,
opera
proveniente
dalla soppressa
chiesa di San
Martino in via
Val d’Aposa e
raffigurante
San Martino e San Petronio che pregano il Salvatore con la Vergine e
San Giovanni
Battista:
soggetti più
facili ed
accessibili per
i fedeli di
quanto non fosse
un Santo
Barnabita,
adesso che i
Barnabiti non
erano più in San
Paolo Maggiore.
Ma, tornati i
Barnabiti, anche
questa tela fu
rimossa e quindi
esposta nel
salone accanto
alla Sagrestia
quando, nel 1972
fu collocato il
quadro che oggi
vediamo, opera
del Barnabita
Federico
Bertini, che
finalmente
raffigura il
Fondatore
Sant’Antonio
Maria Zaccaria
nell’atto di
istituire le
Quarantore
con i
confratelli
Barnabiti,
le
Suore Angeliche,
i
Laici di San Paolo.
|
|
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Pala di Sant'Antonio Maria Zaccaria |
|
Ai lati
dell’altare ecco
gli altri due
quadri dello
Spagnolo, a
completare il
ciclo della
Paternità, con
San Gioacchino e
Sant’Anna,
la paternità
naturale e
San Giuseppe e
il fanciullo
Gesù,la
paternità
legale.
Sono poi
notevolissimi,
nei due bracci
del transetto,
l’organo
seicentesco, di
sinistra, opera
dell’organaro
bolognese
Ottavio Negrelli
posto e quello
di destra,
anch’esso
originariamente
del Negrelli,
sostituito nel
1833 con un
nuovo strumento
di Alessio
Veratti.
Dobbiamo ancora
ammirare, al di
sopra delle
Cantorie che
fronteggiano gli
organi, i grandi
affreschi
prospettici
di Angelo
Michele Colonna
(Rovenna, Como,
1604 – Bologna,
1687), allievo e
collaboratore
del
Dentone,
Girolamo Curti,
caposcuola dei
quadraturisti
bolognesi.
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- - IL
PRESBITERIO
Il
Presbiterio,
detto anche
Cappella Spada,
è delimitato
verso la navata
da una balaustra
marmorea,
risalente al
1650, con un
cancello in
ferro battuto
ricco di ornati
di ottone, con
fregi di foglie
di acanto e al
centro lo stemma
dei Barnabiti.
|
|
|
|
Il presbiterio |
|
L’altare
maggiore, soprelevato di 5 gradini rispetto al piano del
presbiterio, si
integra con la
grandiosa
tribuna marmorea
a base
semicircolare,
che gli fa da
sfondo e da
cornice e che fu
completata nel
1647, ben prima
della
realizzazione e
collocazione
dell’altare
stesso.
|
|
|
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La tribuna marmorea |
|
La
Tribuna, un
vero e proprio
arco trionfale,
realizzata in
marmi rossi e
gialli di
Verona, con
stupende colonne
scanalate e
rudentate, cioè con le scanalature riempite nel terzo inferiore, con elegantissimi capitelli corinzi –
ionici quelli
delle colonne
dell’emiciclo -
porta incisa la
firma
dell’architetto
romano Domenico
Facchetti, ma il
suo disegno è
attribuito ad
Alessandro
Algardi
(Bologna, 1598 –
Roma,1654),
massimo
scultore, a quel
tempo e – se
pure fosse
legittimo
stilare
graduatorie-
secondo
solamente
all’immenso Gian
Lorenzo Bernini,
suo
contemporaneo.
In San Paolo
Maggiore l’arte
dell’Algardi
poté
ulteriormente
esprimersi al
massimo livello,
ancora grazie
alla munificenza
della Famiglia
Spada, che gli
commissionò il
Gruppo del
Martirio di San
Paolo, in
marmo bianco di
Carrara,
scolpito a Roma
e ultimato già
nel 1643, quindi
imbarcato sul
Tevere per
essere
trasportato via
mare,
circumnavigando
la penisola,
fino a Venezia
da dove sarebbe
stato
trasportato a
Bologna
attraverso la
rete dei canali
navigabili.
La nave fu però
intercettata e
razziata in
Adriatico dai
pirati i quali,
per la
restituzione
delle statue,
chiesero ed
ottennero un
ingente
riscatto, pagato
il quale – i
documenti non ci
dicono a chi
vada il merito –
se pure con
ritardo, il
Gruppo poté
essere collocato
entro la sua
Tribuna.
|
|
|
|
Il martirio di San Paolo |
|
Ancora dell’Algardi
possiamo
ammirare il
bassorilievo del
Palliotto in bronzo dorato avente ancora per soggetto
La decapitazione
di San Paolo,
posto alla base
dell’altare, a
chiudere la
finestrella
dell’arca in cui
fin dal 1658
sono conservati
i resti di Santa
Leonzia, martire
del quinto
secolo,
prelevati dalle
Catacombe romane
di Santa Agnese
e qui portati
dal cardinale
Bernardino
Spada.
Infine, sempre
dello stesso
autore, il
grande
Crocifisso in
avorio sopra
il Tabernacolo
con i simboli
degli
Evangelisti nei
quattro bracci
della croce – ma
quello che vedi
oggi è solamente
una copia in
legno
commissionata ad
uno scultore
altoatesino a
seguito del
trafugamento
dell’originale,
poi ritrovato e
restituito – e
la
Porticina del Ciborio in bronzo dorato, con il bassorilievo del
Cristo risorto.
|
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Il Crocifisso di Algardi |
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La porticina del Ciborio |
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Per completare
il tutto
bisognava dunque
che fosse
collocata,
davanti a
siffatta
Tribuna, la
mensa
dell’Altare e
per ciò fu
incaricato
Francesco
Borromini
(Bissone, 1599 –
Roma, 1667) il
quale ne fornì
il disegno ma,
non potendone
egli seguire
direttamente la
realizzazione,
vediamo che il
pur pregevole
risultato del
lavoro finito,
si discosta un
poco dal
progetto
originario che
ne risulta
semplificato.
Maggiormente
fedele al
progetto di
Francesco
Borromini fu il
bolognese
Ludovico Franzia
che, su
commissione del
Cardinale
Virgilio Spada,
realizzò il
Tabernacolo, che si sviluppa in forma di interno di un Tempio a tre
navate visto in
prospettiva
centrale, un
vero e proprio
trompe l’oeil tridimensionale, quasi un opera orafa realizzata con
pietre
preziosissime,
la cui
composizione del
colonnato è
riferibile ad
esempi
architettonici
quali le
Gallerie di
Palazzo Capo di
Ferro a Napoli,
di Palazzo Spada
e di Palazzo
Pamphili a Roma.
|
|
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Tabernacolo |
|
Ai lati
dell’altare sono
collocate due
importantissime
tele del senese
Niccolò Tornioli
(Siena, 1598 –
Roma, 1651) che
troviamo a
Bologna sempre
grazie alla
munificenza del
Cardinale
Virgilio Spada:
Caino che uccide
Abele,
immagine del
Sacrificio di
Cristo, giusto e
innocente
e
La lotta dell’Angelo con Giacobbe, figura della Passione di Cristo e
della sua
gloriosa
Ascensione al
Cielo. dopo la
Risurrezione.
Possiamo anche
ammirare, una
dopo l’altra,
poste giro giro
lungo le pareti
del Tempio, le
12 Croci
collocate in
occasione della
solenne
Consacrazione
del 21 ottobre
1742, realizzate
in calcedonio e
diaspri di
Sicilia, con
agate preziose,
montate su
bronzo dorato.
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-
- IL CORO
I 28 stalli in
legno di noce,
oltre allo
stallo centrale,
furono condotti
a termine nel
1632 dal
faber lignarius
Giacomo De
Bonifaciis che
già dal 1623 si
era proposto per
il lavoro.
Oltre ai 28
stalli
superiori,
costituiti da
sedili e
postergali di
disegno
semplice,
inframezzati da
colonnine, teste
d’angelo e un
bel fregio
superiore, si
contano 24
sedili
retraibili
inferiori.
Lo stallo
centrale e le
due porte
laterali sono
sormontate da
fregi con lo
stemma dei
Barnabiti.
Al di sopra
degli stalli,
fra pregevoli
ornati in stucco
e cornici
dorate, troviamo
sette tele che
raccontano
episodi salienti
della vita di
San Paolo.
La Conversione
di Saulo,
di Pier
Francesco
Cittadini, detto
Franceschino
Milanese
(Milano, 1616 –
Bologna, 1681)
pittore fra i
più presenti a
Bologna per
numero di opere.
I Santi Paolo e
Barnaba in
Antiochia,
opera di
Vincenzo Spisani,
lo Spisanello
(Orta San
Giulio, 1595 –
Bologna, 1662),
allievo di Denis
Calvaert,
presente in
Lombardia oltre
che a Ferrara,
Imola, Modena.
Il naufragio
presso Malta,
dipinto da Pier
Francesco
Ferranti
(Bologna,
ca.1600 –
Bologna, dopo
1653) le cui
opere principali
troviamo a
Piacenza.
San Paolo in
estasi,
di Carlo
Garbieri (
Bologna, 1600 –
Bologna, 1649)
figlio del più
famoso Lorenzo.
San Paolo si
libera
dell’aspide,
ancora dello
Spisanello.
San Paolo
davanti a Cesare,
opera di Giovan
Battista
Bolognini senior
(Bologna, 1612 –
Bologna, 1688),
allievo di Guido
reni e prolifico
incisore.
Cristo appare
all’Apostolo
incatenato in
prigionia,
di Luigi
Pellegrini
Scaramuccia,
(Perugia, 1616 –
Milano, 1680),
allievo di Guido
Reni, presente
anche a Roma e
Milano, biografo
e storico del
suo tempo, oltre
che pittore.
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- - LA CAPPELLA
DI SAN CARLO
BORROMEO,
Patronato della
famiglia
Giustiniani
Risalendo la
Chiesa, dopo la
Cappella dei
Santi barnabiti
nel Transetto di
sinistra,
incontriamo nel
nostro giro le
Cappelle
cosiddette
minori e la prima, sarebbe il settimo altare da quando siamo
entrati, risale
al 1611,
costruita ed
ornata con
propria spesa
dal Cardinal
Legato Benedetto
Giustiniani, lo
stesso della
posa della prima
pietra, e fu la
prima ad essere
dedicata al
Santo
Arcivescovo di
Milano, dopo la
sua
canonizzazione
appena avvenuta
nel 1610, grande
estimatore e
protettore dei
Barnabiti.
Sull’altare
un’opera di
Lorenzo Garbieri
(Bologna, 1588 –
Bologna, 1654)
raffigura
San Carlo che
porta la Croce,
per impetrare la
cessazione della
peste, mentre ai
lati, dello
stesso autore,
San Carlo che
amministra i
Sacramenti ai
religiosi
colpiti dalla
peste, a
sinistra e, a
destra,
San Carlo consegna ai Barnabiti le Costituzioni, approvate da
Gregorio XIII
nel 1579.
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San Carlo che porta la croce |
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San Carlo che amministra i sacramenti |
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San Carlo consegna ai Barnabiti
le Costituzioni |
|
Sono dovuti a
Lorenzo Garbieri
anche le opere a
fresco che
adornano la
volta:
Il Cardinale
Carlo Borromeo
salva un
fanciullo che
sta per
affogare; Il
Cardinale Carlo
Borromeo
richiama alla
vita un morto
e, al centro,
La Gloria di San
Carlo.
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- - IL PULPITO
Opera in marmi
finissimi,
realizzata a
Firenze nel1726
su disegno del
Padre Francesco
Barelli, per
oltre un secolo
l’unico pulpito
in marmo in
tutta Bologna.
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- - CAPPELLA
DELLA BEATA
VERGINE
MARIA DI
LOURDES,
Patronato della
Famiglia
Bevilacqua
Ariosti
La Cappella in
origine era
dedicata a San
Gerolamo e la
pala centrale,
ora collocata
nelle adiacenze
della Sagrestia,
raffigura
La Comunione di San Gerolamo ed è opera di Lucio Massari (Bologna,
1569 – Bologna,
1633), allievo
di Annibale
quindi
collaboratore di
Ludovico
Carracci,
presente anche a
Roma e a
Firenze.
Del Massari sono
rimaste le due
tele laterali:
Il Beato
Corradino
Ariosti in
estasi dinanzi a
Cristo e
Il beato Corradino che distribuisce elemosine, nonché, ai lati della
volta,
San Gerolamo
penitente e
San Gerolamo in
abiti
cardinalizi
e, al centro,
L’anima di San
Gerolamo nella
gloria Eterna.
|
|
|
|
San Gerolamo |
|
Dal 1879 questa
Cappella è
divenuta il
centro cittadino
della devozione
alla
Madonna di
Lourdes,
quando vi fu
collocata la
statua
proveniente da
Parigi, dono di
Giovanni
Acquaderni,
quindi fu
completamente
trasformata nel
1889 con la
costruzione
della Grotta, il
rivestimento
marmoreo del
pavimento e
delle pareti, la
costruzione del
nuovo Altare,
con
l’altorilievo in
bronzo
raffigurante
L’annunciazione di Maria, opera del 1880 di Giovanni Duprè (Siena,
1817, Firenze,
1882).
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- - CAPPELLA DI
SAN GIOVANNI
BATTISTA,
Patronato della
Famiglia
Frabetti, poi
degli eredi
Padri Barnabiti
Troviamo qui
ancora opere di
Giacomo Cavedoni
(Sassuolo, 1577
– Bologna,
1660),
sull’altare
Il Battesimo di
Gesù; da un
lato
La nascita di
San Giovanni
e dall’altro
La salma di San
Giovanni
decapitato
portato al
Sepolcro.
|
|
|
|
Battesimo di Gesù |
|
Nella volta,
tutte opere di
un allievo di
Ludovico
Carracci, sono
rappresentate
La predicazione
del Battista
giovinetto, La
decollazione di
San Giovanni, La
glorificazione
del Santo.
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- - GLI
AFFRESCHI
È ora il momento
di alzare gli
occhi verso il
cielo della
Basilica, per
incontrare gli
affreschi che
letteralmente
ricoprono tutte
le volte,
la cupola e il
lunettone della controfacciata.
|
|
|
|
La volta centrale |
|
Essendo
ritornati, alla
fine del nostro
giro, verso
l’ingresso,
possiamo
ammirare la
straordinaria
scenografia
soprastante il
portone, un
esuberante
complesso
decorativo
realizzato a due
mani da Antonio
Rolli (Bologna,
1643 – Bologna,
1695) e Paolo
Antonio Guidi
(Bologna, 1675 –
Bologna, 1704):
ai due lati del
finestrone
centinato,
arricchito da
mensole e
festoni, aggetta
una balaustra
ricurva dalla
quale si
affacciano
personaggi in
diverse
attitudini,
tutti vestiti
con abiti
variopinti,
alcuni con
strumenti
scientifici e,
sotto la
finestra, su uno
scalino, siede
un giovane che
tiene un cane al
guinzaglio.
Difficile
spiegare la
pittura e
l’atmosfera del
Barocco in modo
più esplicito!
Purtroppo è da
notare con
tristezza come
Antonio Rolli,
al lavoro
proprio sul
lunettone, perse
la vita cadendo
dall’impalcatura
di servizio,
lasciando così
al suo allievo
Antonio Guidi il
compito di
portare a
compimento
l’opera, sulla
base dei disegni
preparatori già
ultimati.
L’immenso
dipinto che
copre per intero
la volta della
navata centrale
è dovuto ai
fratelli Rolli,
Antonio di cui
già si è detto,
che curò
specialmente
l’impostazione
architettonica,
la composizione
architettonica e
lì
ornamentazione,
e Giuseppe Maria
(Bologna, 1645 –
Bologna, 1727),
a cui si devono
le figure.
Abbiamo su ogni
lato tre grandi
finestre con
centina ricurva,
affiancate da
figure e
decorate,
nell’unghia
soprastante, da
putti che
reggono vasi di
fiori, alternati
a grandi
conchiglie con
festoni di
frutta.
Fra una finestra
e l’altra si
ergono
prospettive di
alti loggiati,
retti da colonne
lisce con
capitelli
compositi,
poggianti su
forti basamenti.
Dalle balconate
si affacciano
figure con vesti
policrome, in
pose diverse,
con libri e
strumenti
scientifici.
Sopra le
finestre,
protesi verso la
volta, sono
dipinte coppie
di figure
monocrome:due
angeli nelle
finestre al
centro, due
telamoni in
quelle laterali.
Ai quattro
estremi
dell’impianto
sono dipinte
figure
simboliche in
monocromia.
Questo poderoso
sistema
prospettico-decortativo
che troviamo sui
fianchi serve ad
inquadrare e ad
ordinare la
ricca pittura
della volta vera
e propria,
articolata in
tre
Storie della
vita San Paolo,
inserite in un
decoro monocromo
giallo, con
cartelle di
raccordo,
festoni
floreali, frutti
e figure.
Nel
tondo verso
l’ingresso si
vede
San Paolo in
compagnia di San
Barnaba che si
rifiuta di
essere creduto
Dio mentre
in quello verso
la cupola
troviamo
San Paolo che
risuscita
il
giovanetto
Eutico.
Entrambi gli
episodi sono
raccontati negli
Atti degli
Apostoli (Atti,
XX, 9-11 e Atti
XIV, 8-14).
|
|
|
|
Tondo del Palliotto |
|
Nella grandiosa
composizione al
centro della
volta
San Paolo all’areopago di Atene (Atti XVII, 19-34) appaiono in alto
su nubi la Fede,
la Speranza, la
Carità; un
raggio di luce
scende sul Santo
in veste verde e
manto rosso che
addita il Cielo;
a destra una
figura indica la
scritta
ignoto/deo;
ai piedi del
Santo numerose
figure – gli
ateniesi – in
vesti colorate,
con libri aperti
e chiusi; rovine
classiche in
primo piano.
Gli affreschi
delle
volte minori del
transetto e
del
catino del coro
sono opera in
collaborazione
di Giuseppe
Antonio Caccioli
(Bologna, 1672 –
Bologna, 1740) e
di Pietro
Francesco Farina
(notizie 1700 –
1721).
Nel
catino del coro
una scena
grandiosa
illustra
La conversione
di Saulo sulla
via di Damasco,
riferibile al
1719: in primo
piano Saulo
caduto a terra
con il braccio
sinistro proteso
in alto e dietro
di lui il
cavallo
impennato; ai
lati uomini
armati atterrati
assieme alle
cavalcature si
riparano; nel
fondo si
intravede
Damasco mentre
in alto, entro
un alone di
luce, appare il
Cristo
redentore.
Nella
volta sopra il
presbiterio
vediamo
Il battesimo di
Saulo:
all’interno di
un tempio con
colonnato
circolare Saulo
è inginocchiato
a sinistra con
le mani al petto
e il capo
chinato a
ricevere l’acqua
lustrale da
Anania, in piedi
a destra;
ai piedi
di Anania un
giovane
inginocchiato,
diremmo oggi un
ministrante o
chierichetto;
nel fondo una
donna con
bambino, armati,
altre figure.
Nella volta del
transetto di
destra
troviamo
San Paolo che a
Efeso dà alle
fiamme i libri
di magia: il
Santo, alla
destra, è chino
su un’ara su cui
sono posati
libri e rotoli;
a terra altri
libri e al
centro un fuoco
con libri che
bruciano; a
sinistra due
figure maschili
ed una femminile
con bambino,
allegorica, che
indica la scena.
Infine nella
volta del
transetto di
sinistra
abbiamo
San Paolo nella
gloria delle
catene di Cristo:
alla destra un
interno di
carcere dove
siede il Santo
in catene sotto
una finestra a
sbarre, con un
libro aperto; a
sinistra appare
Cristo in gloria
di angeli, su
nubi, entro un
alone di luce,
lo scettro nella
mano destra
appoggiata sul
globo, la
sinistra alzata.
I
lunettoni dei
transetti
sono affrescati
da questi stessi
pittori: nel
transetto destro
appaiono un
vecchio e una
figura
femminile; in
quello sinistro
troviamo due
donne. Tutte le
figure sono in
monocromo
grigio, sedute
su mensole
aggettanti,
entro una grande
prospettiva
illusionistica.
Anche gli
affreschi della
cupola sono
opera del
Caccioli e del
Farina che vi
dipinsero nel
1716
La Gloria di San Paolo.
La composizione
si sviluppa in
più ordini
concentrici di
figure su nubi:
San Paolo che
sale al Cielo è
visibile nel
primo ordine fra
angeli, angeli
musicanti e
cherubini; più
in alto, nel
secondo ordine,
è raffigurata la
Santa Trinità
mentre, sparsi
dappertutto,
troviamo fiori,
drappi,
angioletti in
pose diverse,
fino al giro
finale di
angioletti
attorno alla
lanterna.
Notevolissimi i
quattro
pennecchi
che raccordano i
bracci del
transetto con la
cupola, nei
quali sono
simboleggiate le
quattro parti
del mondo allora
conosciute, ad
esprimere
l’universalità
dell’apostolato
di
Paolo Apostolo
dottore delle
genti e
predicatore
delle verità in
tutto il mondo,
come si legge
alla base dei
pennacchi
stessi.
L’anno di
realizzazione è
il 1717 e qui,
assieme a
Giuseppe Antonio
Caccioli che
dipinse le
figure, operò
Giovanni Antonio
Raimondi che
eseguì gli
stucchi.
L’Europa,
e con essa la
religione
cattolica, è
simboleggiata da
una figura
allegorica
femminile assisa
su nubi, con la
corona in capo,
con drappo di
ermellino, la
mano sinistra
alzata a reggere
uno scettro, il
braccio destro
che abbraccia un
modellino dei
San Pietro in
Montorio di
Roma. L’animale
rappresentato è
il cavallo.
L’Asia
e l’oriente in
generale e
quindi anche la
religione
ebraica
sono
simboleggiati da
una figura
femminile assisa
su nubi, con in
capo un turbante
piumato, con un
angioletto in
volo che versa
incenso, con la
raffigurazione
del copricapo
sacerdotale a
mezzaluna e
delle tavole
mosaiche.
L’animale
rappresentato è
il dromedario.
L’allegoria
dell’America
è ancora una
figura femminile
su nubi, con
copricapo
piumato, un arco
formato da due
corna di bufalo,
il volto rivolto
verso la croce
che un
angioletto le
porge. L’animale
che appare è un
rettile.
L’Africa
infine è una
donna nera,
anch’essa assisa
su nubi,
con
turbante bianco
piumato, che
stringe con
entrambe le mani
un fascio di
spighe.
L’animale che
appare è il
leone.
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- - IL
BATTISTERO
Anche questo
locale, come la
Cappella
Ecumenica che
gli sta di
fronte, prima
adibito a
deposito, è
stato
trasformato in
Battistero
nel 1919, con la
vasca in marmo
bianco e le
decorazioni
delle pareti e
della volta
opera di Bruno
Cocchi,
completate nel
1994 da Giuliano
Armaroli.
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- - LA SAGRESTIA
L’accesso alla
Sagrestia vera e
propria avviene
attraverso un
piccolo locale
di forma
quadrata, nel
quale si apre
l’ingresso
laterale della
Basilica su via
Tagliapietre,
seguito da
un’aula
rettangolare
dovuta al Padre
Ambrogio Mazenta,
quindi coeva con
la costruzione
della chiesa del
1611.
L’aula ampia e
solenne fu
realizzata nel
1719 su progetto
dell’Architetto
Paolo Francesco
Saltèri e fu
affrescata da
Giuseppe Antonio
Caccioli nel
1721, con il
ciclo della
Vita di San
Giuseppe,
sulle pareti, e
la
Gloria di San
Giuseppe,
sulla volta.
Gli
Armadi e l’Altare con la Custodia delle Reliquie, tutti in noce, sono opera di
Domenico De
Franceschi
(notizie 1729 –
1727)
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BIBLIOGRAFIA
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Portoghesi,
L’Opera del
Borromini per
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Tiziano Costa,
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Ministero per i
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Itinerari
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[1]
PER
COMINCIARE A
CONOSCERE
SANT'ANTONIO
MARIA ZACCARIA
Antonio Maria
Zaccaria,
Interroga il
cuore, pensieri
di Antonio Maria
Zaccaria,
Àncora, 2001
Antonio Gentili,
Mauro Regazzoni,
La spiritualità
della Riforma
Cattolica,
Grafiche
Dehoniane, 1993
Antonio Gentili,
Giovanni Scalese,
Prontuario per
lo spirito,
insegnamenti
ascetico-mistici
di Sant’Antonio
Maria Zaccaria,
Àncora, 1994
Marco Vannini,
Con le mani e
con i piedi,
Mondadori, 2000
Andrea Erba,
Antonio Gentili,
Il riformatore,
Sant’Antonio
Maria Zaccaria,
Àncora, 2001
Angelo Montonati,
Fuoco nella
città,
Sant’Antonio
Maria Zacaria
(1502-1539),
Edizioni San
Paolo, 2002
Franco
Ghilardotti,
Antonio Maria
Zaccaria,
1502-1539, Una
meteora del
cinquecento
sulla scia di
Paolo Apostolo,
Grafiche
Dehoniane, 2002
Marcello
Stanzione,
365 giorni con
Sant’Antonio
Maria Zaccaria,
Edizioni Segno,
2012
Antonio Gentili,
I Barnabiti,
Edizioni Padri
Barnabiti, 2012
I Sermoni di
Sant’Antonio
Maria Zaccaria
in
https://laicidisanpaolo.com/i-sermoni/
Le lettere di
Sant’Antonio
Maria Zaccaria
in
https://laicidisanpaolo.com/i-sermoni/lettere/
Potete
anche scaricare
una
presentazione in
Power Point con
tutte le
immagini
iconografiche di
Sant'Antonio
Maria Zaccaria,
raccolte dal
barnabita Luigi
Rusnati,
cliccando qui
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